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IL BLU È UN COLORE CALDO

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la vita di adele

Io non avrei creduto mai

che un giorno t’avrei vista senza gioia.

Tu non avresti mai creduto

che un giorno avrei vissuto senza te.

Nulla rimane eguale,

si muta il bene in male,

si muta il bianco in nero

ma quel che è stato vero sempre ritornerà.

Franco Fortini, Tutti gli amori

La vita di Adèle, Abdellatif Kechiche (2013)

La vita di Adèle, di Abdellatif Kechiche, liberamente tratto dalla graphic novel, di Julie Maroh (rispettivamente Palma d’oro a Cannes 2013 e premio del pubblico al festival internazionale di fumetto di Angoulême nel 2011) è la storia di un amore. Più precisamente, è la storia di un primo amore, della sua totalizzante forza di cambiamento e, a volte, distruzione. Non vi è nulla, nella storia dell’incontro tra Adèle ed Emma, che giustifichi a livello di fatti le oltre tre ore di durata di pellicola, ma si sa, soprattutto nell’amore, quanto il tempo sia una categoria mutevole, elastica, totalmente soggettiva. E totalmente soggettiva, questa volta in senso tecnico, è la maniera in cui viene condotta da Kachiche la narrazione della storia: la macchina da presa non si stacca dal viso delle protagoniste, e quando i piani si ampiano, e lo sguardo ha un po’ di respiro, è solo per osservare scene di totale unione, quelle amorose, o delle separazioni.

La Adèle del titolo è una ragazza all’ultimo anno di liceo, a Lille, che ha sempre fame, legge moltissimo e sente un vuoto dentro, vuoto che si riempie delle parole della letteratura, ma che le lascia un’angoscia sottile, un senso di inadeguatezza perenne: è una ragazza con troppi buchi dentro. In una lezione su Antigone la professoressa spiega ai suoi alunni che la giovane è l’emblema della mancanza, cioè dell’adoloscenza, periodo di passaggio in cui nulla si è, e nulla si può non appartenendo al mondo degli adulti, quello dove si prendono le decisioni, si fanno le regole. Nel giorno in cui Antigone decide di disobbedire alle regole, seppellendo il fratello, si assume il peso della responsabilità, diviene adulta e, per le regole della tragedia, il mondo dell’ineluttabile, quello sarà il giorno della sua morte.

Per Adèle il diventare adulta assume le fattezze di Emma, e dei suoi capelli blu. Quando la incontra, tutti i suoi vuoti sembrano colmarsi, riempirsi del colore dei capelli della ragazza, e “il blu è diventato un colore caldo“. Emma, studentessa al quarto d’anno dell’accademia, aspirante pittrice, è l’incontro determinante nella vita di Adèle. Le due imparano a conoscersi e s’innamorano, perdono i propri confini, e il film indugia, nelle lunghissime scene di sesso, sui due corpi che si incontrano, si scoprono, diventano l’uno dipendente dell’altro; lo fa in maniera impudica, come impudico e totalizzante è l’amore tra due persone, anche quello fisico. Il tempo passa, le due crescono e mescolano i propri mondi, e il film, in questo differendo dalla graphic novel da cui è tratto, taglia alcuni degli episodi che sottolineano la difficoltà dell’affermazione dell’amore tra due donne, quelle di Adèle a scuola, incapace di affermare la propria differenza e rivendicarla, in seguito agli attacchi di quelle che erano le sue amiche, e l’incomprensione della famiglia di lei, di fronte alla quale le due devono fingersi ciò che non sono.

Ritroviamo così le due protagoniste cresciute di qualche anno, Adèle maestra in un un asilo, Emma a perseguire il proprio obiettivo di diventare pittrice. Si intuisce solo, ma non viene raccontato, che deve esserci stato un cambiamento. Adèle ha abbandonato il proprio mondo d’origine, e ne sta creando un altro con Emma, di cui è musa, soggetto (o oggetto) della sua arte. È solo l’intensità del legame che ha permesso ad Adèle di rivendicare una propria individualità, ma non sempre l’amore sopravvive a sè stesso.

Così, mano a mano che le differenze tra le due tornano a presentare il conto, anche lo sguardo della macchina da presa si apre alla diversità dei mondi, al mondo che si infiltra nella perfezione della loro unione. È una storia normale, che normalmente si conclude, “tutti gli amori cominciano bene (…) spesso gli amori finiscono male”. Cogliere le ragioni di una separazione è ciò su cui si arrovella l’uomo, da tempo immemore. Senza raccontare molto, anche perché pare davvero, in questa storia, (ma in molte delle storie di chiunque guardi la pellicola) di avere a che fare con le categorie della tragedia, quelle dell’inevitabile, se una ragione si può trovare, essa ha a che fare con la crescita, quella di cui parlava la professoressa raccontando di Antigone, con il difficile equilibrio tra il diventare sè, e diventarlo attraverso qualcun’altro.

Che il film abbia suscitato clamore, a Cannes, per la nitidezza delle scene d’amore tra due ragazze, questa è forse l’unica cosa strana. La storia di Adèle ed Emma, la storia di Adèle e del suo amore per Emma, complicata nel suo svolgersi dal pregiudizio che ancora vive nella pur più aperta Francia, (per quanto riguarda il costume sessuale, ma anche il riconoscimento dei diritti della comunità LGBT), è una storia sull’amore.

Che è sempre, nel suo svolgersi, chiunque lo viva, ugualmente meraviglioso, totalizzante, crudele. Se ancora ce ne fosse bisogno, è tempo di riconoscerlo.

Di Chiara Sacchet

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